Tocca a noi tutti insieme /2
L’Arcivescovo usa parole molto ferme e chiare per stigmatizzare un modo di vivere che da tempo pervade la società. «L’arroganza dell’individualismo si impone come un fattore di frantumazione. Questo “io”, così fragile e precario, si persuade di essere originale solo perché non va d’accordo con nessuno, vive con insofferenza le regole e le situazioni perché non è in pace con se stesso, circoscrive il mondo a quello che vede e quindi esclude il futuro e recide le radici del passato, si lascia guidare dal suo desiderio e dal suo sentire, perciò ignora l’amore. L’individualismo si rivela una forma di presunzione rovinosa: la comunicazione diventa impossibile perché ciascuno parla una lingua diversa, la convivenza diventa impraticabile perché l’ideale appare la solitudine, l’educazione si rivela insopportabile perché l’insofferenza prevale sulla gratitudine».
Come dare un volto a una visione condivisa? Innanzitutto con l’umiltà. «L’esperienza drammatica della pandemia ci ha reso più consapevoli della fragilità dell’umanità, più mendicanti di solidarietà, più sospettosi verso discorsi generali e giudizi perentori, più insicuri e paurosi. Insomma, forse, più umili. Il riferimento a Dio è cancellato da gran parte della cultura occidentale. Mi sembra che l’esito di questa censura impoverisca enormemente il pensiero e cancelli il fondamento della speranza. Qui sta la radice antica dell’emergenza spirituale».
Secondo: sostenendo il patrimonio irrinunciabile della famiglia. «La famiglia è la cellula che genera la società e il suo futuro. Penso innanzitutto alla famiglia fondata sul matrimonio, con un legame stabile; i genitori si impegnano a costruire un futuro insieme e a contribuire così al bene di tutta la società. Senza legami stabili non c’è futuro. La centralità della famiglia è la condizione per il benessere di tutti. Quando la famiglia è malata tutta la società è malata. La famiglia è affidata a coloro che la compongono: ne hanno la responsabilità. È però necessario che una comunità, una società che siano persuase dell’importanza decisiva della famiglia si facciano carico di creare le condizioni migliori per renderne, per quanto possibile, serena la vita. Intorno a questo centro tutte le istituzioni sono chiamate a sostenere gli aspetti generativi, le responsabilità educative, le problematiche sanitarie e assistenziali, le condizioni lavorative, l’attenzione alle varie fasce di età».
Terzo: una globalizzazione alternativa. «Il complesso e polimorfo fenomeno della globalizzazione deve essere corretto per non consentire a una dinamica planetaria di ridursi a una logica di mercato determinata dai prezzi invece che dai valori, a una gestione dell’informazione finalizzata alla manipolazione, a una forma di colonialismo economico e culturale che mortifica e seduce l’umanità. Solo la cultura dell’incontro (cfr. Ft 215-221) può consentire di propiziare la possibilità che le diverse culture possano fecondarsi a vicenda».
Chiaro anche lo stile proposto da Delpini: «Lo stile saggio che i tempi richiedono è caratterizzato dalla modestia. La visione condivisa non è una ricetta, non è un sistema in cui tutto è al suo posto, non è una carta di intenti come un proclama retorico, non è una prescrizione autoritaria. La modestia è la consapevolezza del limite. Non tutto è chiaro. Nessuno può presumere d’essere maestro e di considerare gli altri scolari da indottrinare. Questo è tempo di costruzione paziente, non di opere compiute. Non ci sono opere perfette, piuttosto tentativi. Eppure vale la pena. Eppure l’opera ben fatta è già premio».
Se la famiglia deve essere centrale, altrettanto il compito di formare i giovani. «Tocca agli adulti la responsabilità di consegnare alle giovani generazioni la visione da cui può partire il futuro. Poi le giovani generazioni daranno alla visione un colore nuovo, un nome inedito. Ma il compito educativo è essenziale perché non ci sia un popolo smarrito e vagabondo che non sa il nome né il senso delle cose e crede che distruggere o costruire, fare il bene o fare il male, dare la vita o toglierla siano equivalenti».
Ribadisco la necessità che questo discorso sia letto e meditato per intero, e insieme usato perché possa suggerire itinerari concreti per il bene di tutti