PERCHÉ STATE A GUARDARE IL CIELO?

Questa sorta di rimprovero che l’angelo rivolge ai discepoli ancora meravigliati, quasi paralizzati all’ascesa di Gesù al cielo è certo opportuno se dice disimpegno, alienazione visto che Gesù ci ha affidato la responsabilità di renderlo presente qui, in questa nostra realtà ‘in attesa del suo ritorno’. Ma in verità c’è una necessità nel ‘guardare al cielo’. Perché non farlo visto che Lui è andato là. In fondo ‘il cielo’ ci attrae, dovrebbe essere il termine del nostro cammino, come dice il prefazio della celebrazione eucaristica di oggi “ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui capo e primogenito, saremo anche noi, uniti nella stessa gloria”.

In questi giorni abbiamo letto e predicato molto sulla debolezza e fragilità della nostra condizione umana. Questa pandemia ci ha costretto a riconoscerlo. Ma il discorso è monco se non si parlasse anche della speranza, del destino di gloria e di vita che ci attende. L’Ascensione non è ancora finita, sarà conclusa quando tutti arriveremo dietro di Lui. Non è che andò, e così basta, ma continua ad andare, anche il corpo dovrà seguire, perché dov’è Lui, saremo anche noi. Molti, anche i discepoli –purtroppo -, sono preda di un’angoscia che dice l’assenza di questa certezza, e si rifugiano per superare la paura nell’osservanza scrupolosa delle regole d’igiene, piuttosto che nella fiducia fideista nell’opera della scienza- ma da dove arrivano tutti questi virologhi? – o nella chiusura totale ad ogni relazione.

Solo chi ‘guarda in alto’, solo chi ‘considera’ cioè sta con le stelle sarà capace di vivere bene su questa terra. Perché ha il dono più necessario e utile in questi tempi: la speranza. Come diceva Charles Peguy (Portico della seconda virtù)

La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada fra le sue due sorelle la piccola speranza.
Avanza.
Quella a destra e quella a sinistra.
E quasi non vede quella ch’è al centro.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa fra le gonne delle sorelle.
E ama credere che sono le due grandi a portarsi dietro la piccola per mano.
Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
E che senza di lei loro non sarebbero nulla.
Se non due donne avanti negli anni.
Due donne d’una certa età.
Sciupate dalla vita.

È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è.
E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.

Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,
Che la tengono per mano,
La piccola speranza.
Avanza.
E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due.
E a trascinarle,
E a far camminare tutti quanti,
E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.

E le due grandi camminan solo per la piccola.